martedì 14 giugno 2011

POLONIA cucina di zuppe e minestre

Oggi le diverse ricette regionali sono dominate da patate, crauti, cetrioli, farine di cereali, funghi essiccati e marinati e latte acido, ma anche da una grande ricchezza di carne. Tutti i cibi sono preparati in maniera tradizionale, usando ingredienti freschi.
La cucina dell’area è assimilabile a quella dell'Europa Centrale, e non mancano quindi le influenze di quello che una volta fu l'Impero Austro Ungarico. La tradizione polacca prevede pasti molto nutrienti nella prima parte della giornata con una cena molto leggera e unisce sostanziosi piatti di carne ad un uso accurato delle spezie.
Nel corso del Medioevo la segale invernale, che occupava dal 30 al 60 per cento della terra coltivata, ebbe il ruolo più importante nell' alimentazione dei polacchi; subito dopo veniva l'avena con il 25-35 per cento. Il pane più usato era lo scuro pane integrale di segale. Minestre e zuppe, fatte soprattutto con grano saraceno e orzo, avevano un posto di rilievo nella dieta quotidiana; la verdura più consumata era il cavolo, seguito da pastinaca, carote, rape, cipolle e, in misura molto minore, cetrioli, fagioli, lenticchie, prezzemolo, papavero e piselli, la cui popolarità era in ascesa.
Piatti tradizionali noti fin dall'inizio del Medioevo erano i cavoli cucinati con kasha (crema a base di cereali), carne, pesce o piselli; i fagioli, le carote, le barbabietole o le rape stufate o fritte. Spezie ed erbe locali usate in cucina erano il cumino, i semi di senape, la barbaforte e l'aceto. Nel corso del secolo XVI la Polonia subì la forte influenza dell'Europa occidentale. I polacchi che si recavano all'estero ritornavano con nuove piante: sedano, porri, cavolfiore, cavolo rapa, finocchio, insalate e altro. L'intensificazione dei commerci portò l'olio d'oliva, i frutti del Mediterraneo (uva passa, castagne, mandorle, fichi, agrumi) e spezie (pepe, zafferano, zenzero, cannella, noce moscata eccetera). L'importazione di generi coloniali decuplicò tra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, ma naturalmente furono le classi privilegiate a beneficiare di queste novità.
Tradizionalmente, l'allevamento del bestiame in Polonia era l'attività economicamente più importante; nella seconda metà del secolo XVI si verificò una rapida crescita dell'allevamento di maiali. Aveva una certa importanza anche il pollame - galline, oche, anatre e, dalla fine del Cinquecento, tacchini. La pesca e il consumo di pesci erano considerevoli, grazie ai numerosi bacini naturali e alle peschiere in cui si allevavano soprattutto carpe. Il consumo di birra crebbe costantemente soprattutto dopo il secolo XV. Si beveva calda o fredda, chiara o scura, debole o forte, ma mediamente con un tenore alcolico di due o tre gradi. Cresceva anche il consumo di vodka: bevande molto rustiche per la povera gente, acquaviti aromatizzate con erbe, anisette, cannella, scorza d'arancia e così via per le classi alte e medie.
L'Ottocento portò con sé i cambiamenti più importanti nella struttura dell'alimentazione. L'inizio dell' agricoltura moderna e gli studi di agronomia aumentarono le rese e la disponibilità di varie materie prime; la produzione di cereali fu più che triplicata. L'apertura di stabilimenti per produrre zucchero di barbabietola, farine per il mercato, alcolici e birre, olio, amidacei, lieviti, aceto, prodotti da forno, cioccolato, bevande analcoliche e gelatina comportò cambiamenti di rilievo nella preparazione domestica dei piatti.
La Polonia è stato l'unico paese dell'Europa orientale in cui i modelli alimentari fondamentali sono stati profondamente influenzati dalla modernizzazione. Nel corso dei secoli, la trasformazione dell'alimentazione ha inciso su tutte le classi sociali, ma in modo diverso. La famiglia contadina povera poteva trovarsi per il pranzo solo un misero brodo fatto con acqua calda, sale e prezzemolo. La dieta di una famiglia contadina del ceto medio della regione di Poznan a metà Ottocento era costituita da zur (borsht bianco, la minestra acida polacca) con patate e pane o patate passate con latte a colazione, piselli con cavoli e pane o gnocchetti di pasta con kvas a pranzo e gnocchetti di pasta cotti nel latte o nel kvas e pane per cena. I lavoratori salariati e le loro famiglie consumavano pane, piselli, kasha o patate, birra, vodka, aringhe. Il pranzo tradizionale in una famiglia ricca era costituito da qualche minestra come primo - un brodo o un borsht (barszcz) - seguita dalla carne: bigos con cavoli, oca con panna e funghi secchi, tacchino, montone con aglio, zampa di bue in gelatina, pancetta affumicata, maiale, salsicce o cacciagione, il tutto accompagnato da verdure e spezie.
La tradizione ha conservato fino ai giorni nostri i nomi e le ricette di alcuni piatti nazionali dei polacchi. Al posto del pane essi mangiavano placki e podplomyki cotti nella cenere. Zuppe assai note sono il barszcz, fatto in passato con la pianta omonima e successivamente con barbabietole, e lo zur (un borsht bianco di farina di segale bollita, lievitata e lasciata a fermentare per due giorni).
I piatti di cereali comprendevano il prazucha, una farina secca fritta cui si aggiungeva acqua calda mescolando fino a formare una densa farinata; il tartusy, una farina grossa di segale cotta in acqua bollente fino a ottenere una consistenza collosa, cui si aggiungevano sale e latte; il klushi, un tipo di gnocchetto di pasta, e così via. Il più conosciuto dei piatti di carne e verdure è il bigos polacco, una salsiccia cucinata con funghi e cavolo; segue il kwasnica fatto con la salamoia dei crauti, lardo e cotenna, farina o burro o panna; il golabki, cavolo o foglie di barbabietola farcite con kasha; lo zrazy (polpette o pezzetti di carne) e altri.

Bigos polacco

Ingredienti
1 confezione da 1 kg di crauti polacchi, 1 verza, 1kg di manzo, 1 kg di maiale, ½ kg di salsicce, 250gr di pancetta affumicata, 1/2kg di Kielbasa (tipo di salsiccia affumicata), 1 cipolla, 1 piccola latta di passata di pomodoro, 3/5 foglie di alloro, sale, pepe, olio, zucchero, erbe e spezie.
Preparazione
Prendere una grossa casseruola e mettere a bollire dell’acqua. Aggiungere i crauti e lasciarli bollire. Tagliare il manzo ed il maiale in piccoli bocconcini quadrati e farli rosolare. Di solito ci vogliono 2 padelle per poterli soffriggere tutti (una per il manzo ed una per il maiale). Condire con le erbe e le spezie. Grigliare la verza e versarla nella casseruola. Tritare la cipolla e versare anch’essa nella casseruola. Quando il manzo ed il maiale hanno preso colore versarli entrambi nella casseruola insieme al liquido di cottura.
Tagliare il kielbasa in piccoli pezzi e scottarli in padella, scottandoli si evita che si spappolino in acqua. Una volta scottati versarli nella casseruola insieme agli altri ingredienti.
Tagliare la pancetta, tenendone una fetta da parte, in pezzi lunghi 1 cm e soffriggerla. Scolare il grasso in eccesso e versarla nella casseruola. Si può cuocere anche la salsiccia insieme alla pancetta e si versa anch’essa nella casseruola.
Aggiungere 1 cucchiaino di sale, ½ cucchiaino di pepe, 1/8 tazza di zucchero e le foglie d’alloro nella casseruola.
Ed ecco il tocco finale, versare anche il contenuto della piccola latta di passata di pomodoro e mescolare il tutto. Aggiungere dell’acqua se necessario. Cuocere a lungo a fuoco lento.

BABA' e il Re di Polonia

 Se la Pastiera rappresenta l'anima latina della Campania, la Sfogliatella evoca i suoi contatti con il mondo arabo e i monasteri, il Babà porta alla ribalta l'Europa del '700 nella Napoli dei Borbone .
La sua origine si lega al re di Polonia Stanislao Leczynski e al tempo del suo dorato esilio nel ducato francese di Lorena. Era metà ‘700 quando il regale gourmet, modificò a proprio gusto un dolce della pasticceria tedesca che trovava troppo asciutto: il Kugelhupf.
Nacque così il Babà, dolce intriso di rum, che sembrerebbe prese il suo nome non dall'eroe delle "Mille e una notte" (come i più riferiscono), ma dalla parola polacca "baba" (nonnina), forse affettuoso richiamo a chi si occupava della cucina nelle famiglie contadine.
Il Babà, dalla provincia francese conquistò Parigi grazie ai favori del celebre pasticcere Sthorer, e da qui giunse a Napoli al seguito dei Monzù, i cuochi mandati dai nobili ad istruirsi alla scuola d’Oltralpe.
Con il passare del tempo questo dolce passò dalle tavole aristocratiche ai tavolini dei caffè, nelle diverse interpretazioni di forma (budino o funghetto) e guarnizione.
In ogni caso il babà morbido ed inzuppato fa della semplicità la sua caratteristica: pasta solo appena dolce irrorata di profumato rum.
A Napoli è celebre il motto: "Si nu’ babà", che viene detto a qualcuno quando gli si vuole trasmettere stima, affetto e sentimento carnale.

Fonte
TaccuiniStorici.it testata di Alex Revelli Sorini - Rivista multimediale curata in collaborazione con l' Accademia Italiana Gastronomia Storica dove si propongono storie e tradizioni della cultura gastronomica mediterranea.
 

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