mercoledì 28 settembre 2011

Il Lupino

Questo legume dalle origini antichissime è stato coltivato con diverse finalità: miglioramento del suolo a pascolo, alimentazione umana, qualità terapeutiche.
Gli archeologi hanno ritrovato i suoi semi nelle piramidi egizie e maya. Le prime coltivazioni vengono fatte risalire a circa 4000 anni fa, sia nell'area del Mediterraneo (lupino bianco) che nelle zone andine del Sud America.
La pratica era in uso presso i Greci, che come Ippocrate ricorda, ritenevano il lupino particolarmente digeribile.
Molte sono le citazione del consumo di lupini pure presso i Romani, anche Orazio nel suo libro delle Epistole scrive: "l'uomo probo e saggio sostiene di essere incline alle cose alte; né d'altra parte ignora quanto siano distanti le monete dai lupini".
Giovanni Carmelo Verga nel suo romanzo “I Malavoglia” del 1881 racconta dei lupini come rappresentazione del mondo gastronomico popolare di fine Ottocento, dove e come venivano coltivati e venduti. Nel romanzo Verga narra la storia dei Toscano, una famiglia di pescatori, gente di mare decaduta, che si danno al commercio di lupini ma la barca che li trasporta scompare in un naufragio, provocando la morte del figlio primogenito dei Toscano, per questo nuovo lavoro vengono ingiustamente identificati da un soprannome, “i Malavoglia” per l'appunto. I lupini contenevano un alcaloide amarissimo e quindi prima di essere mangiati dovevano essere sanati, ovvero bolliti in acqua e poi salati per immersione in una salamoia. I marinai, invece, mettevano i lupini direttamente a bagno nell'acqua di mare, oppure venivano messi in un sacco di iuta e immersi nell'acqua di un fiume per qualche giorno prima di essere salati, forse questo causò il naufragio della famiglia nei “i Malavoglia”.
Fu solo nel XX sec. che le antiche specie di lupino "amaro", dove erano presenti alcaloidi amari e sgradevoli rimossi bollendo e mettendo a bagno ripetutamente i semi prima del loro consumo, vennero sostituite da specie "dolci", prive di alcaloidi.
Fu Reinhold von Sengbusch, scienziato tedesco, che nel 1928 selezionò le prime varietà di lupino giallo e blu a basso contenuto di alcalodi (0,05%). Le varietà dolci e il lupino blu furono gradualmente introdotte in Australia dopo la seconda Guerra Mondiale, e il successo della coltivazione ne promosse l’esportazione in Europa.
Il lupino recentemente è stato oggetto di una lunga sperimentazione, che ha coinvolto nutrizionisti e tecnologi alimentari, allo scopo di trovare una valida alternativa alla soia e per offrire una maggiore qualità nutrizionale e proprietà organolettiche (aroma, sapore, colore) agli alimenti senza glutine.

Crema di lupini alla menta

Ingredienti:
500 gr di lupini da sbucciare. 100 ml di birra, 100 ml di acqua a temperatura ambiente, 4 cucchiai di olio extra vergine di oliva, una manciata di foglie di menta piperita fresca.

Preparazione
Sbucciare pazientemente i lupini. Metterne metà in un buon frullatore e aggiungere la birra. Frullare fino a sbriciolarli grossolanamente e quindi aggiungere i restanti e frullare di nuovo. Rigirare il composto nel mixer con un cucchiaio e versare l’acqua.
Frullare ancora a lungo fino a raggiungere una consistenza abbastanza cremosa. Unire l’olio e la menta e frullare ancora per qualche minuto. Solo alla fine regolare eventualmente di sale. Se possibile, lasciar riposare per 24 ore in frigorifero prima di e servire a temperatura ambiente.

giovedì 22 settembre 2011

Agnello in porchetta con carciofi

Ingredienti (per 4 persone)

Per l’agnello: 1 cosciotto di agnello e 1 spalla di agnello (in totale 1,2 kg)
Per i carciofi: 6 carciofi con spine teneri, 1 spicchio d’aglio pelato, 50 g scalogno pelato, 2 g timo, 2 g maggiorana, 5 g rosmarino, 2 g menta, 5 g prezzemolo, 100 g pecorino mezzano grattugiato, 100 g pane di campagna grattugiato, 2 uova intere, 5 g semi di finocchietto selvatico, 50 g olio extravergine di oliva, sale e pepe q.b.
Per la cottura dell’agnello: ossa dell’agnello tagliate a pezzetti q.b., 200 g vino bianco, 1 spicchio d’aglio, 50 g scalogno pelato, 5 g rosmarino, 1 g alloro, 20 g olio extravergine di oliva, sale e pepe q.b.
Per il salsa: 20 g vino bianco, 5 g rosmarino, 2 g timo, 2 g maggiorana

Preparazione

Per l’agnello: disossare il cosciotto e la spalla dell’agnello. Livellare la polpa ottenuta,con l’aiuto di un coltello, tagliandola in modo da poterla stendere linearmente. Stenderla su un tagliere.
Per i carciofi: pelare l’aglio e lo scalogno e tagliarli a fettine sottili. Mondare i carciofi dalle foglie esterne più dure, eliminare la parte superiore delle foglie e la parte più dura del gambo. Tagliarli a metà e svuotarli della barba interna; lavarli in acqua, scolarli e tagliarli a fettine. Scaldare una casseruola con l’olio. Aggiungere i carciofi con lo scalogno a cubetti, rosolarli per 4-5 minuti. Toglierli dal fuoco e versarli in una bastardella; aggiungere la menta, rosmarino, prezzemolo, timo e maggiorana tritati, il pane e pecorino grattugiato, le uova intere e i semi di finocchietto. Regolare di gusto con sale e pepe e amalgamare. Stendere i carciofi sulla carne; arrotolare come un arrosto e legare con uno spago.
Per la cottura dell’agnello: adagiare su una placchetta le ossa di agnello tagliate a pezzettini. Aggiungere l’olio, l’aglio pelato intero e lo scalogno pulito e tagliato a listarelle, il rosmarino e l’alloro. Salare e pepare l’agnello, adagiarlo nella placchetta. Cuocerlo in forno preriscaldato a 180° per 1 ora circa, tenendolo bagnato con il vino bianco e girato, per evitare che si attacchi alla placchetta e nello stesso tempo diventi ben rosolato. Quando è cotto, toglierlo dal forno e dalla placchetta e farlo riposare per 5 minuti in caldo. Bagnare il fondo di cottura della placchetta con 20 g di vino bianco e fare ridurre. Filtrare ed emulsionare aggiungendo il rosmarino, il timo e la maggiorana tritati.
Per la presentazione: servire l’agnello affettato al piatto, salsato con il suo fondo di cottura.
Variazione:
L’agnello può essere disossato intero oppure a metà, oppure cucinato allo spiedo. L’agnello farcito con i carciofi si può servire accompagnato con patate, polenta, verdure di stagione.

venerdì 16 settembre 2011

Olio, lardo, burro, la storia dei grassi alimentari

La cucina romana, quella ricca codificata da Apicio, non conosceva che l’ olio, anzi letteralmente grondava d’olio. A questo grasso prestigioso, vero simbolo (assieme al pane e al vino) della civiltà agricola latina, si contrapponevano il lardo e il burro, a loro volta simboli della civiltà nomade e pastorale dei barbari.
Il lardo compariva anche nella cucina romana, ma unicamente delle classi povere, e tra gli agronomi latini solo Catone ricorda alcune ricette di dolci tradizionali delle campagne preparati con questo grasso (unguen o adeps).
I romani non disdegnavano certo il maiale, ma bisogna attendere il III-IV sec. per vedere comprese le sue carni tra le derrate distribuite dagli imperatori al popolo della capitale.
Nell’alto Medioevo, la valorizzazione dell’economia forestale, sollecitata dal diffondersi della cultura “barbara”, significò anche la promozione del lardo tra i valori forti del sistema alimentare.
Antimo, il primo scrittore di dietetica medievale, greco di nascita ma cresciuto alla corte di Bisanzio e approdato a Ravenna durante la dominazione di Teodorico, nel suo “De observatione ciborum” consente già nel VI sec. d’usare il lardo per verdure e ogni altro cibo.
L’affermazione politica e sociale dei popoli germanici veicolò perciò una vera promozione d’immagine del grasso animale, facendo divenire il lardo il grasso per eccellenza della cucina aristocratica e perfino dell’alimentazione monastica.
A questo facevano eccezione gli obblighi imposti dal calendario liturgico che costringevano i cristiani a sostituire il lardo animale con l’olio vegetale, generando così per la prima volta un’inedita alternanza tra i due grassi.
Nei ricettari del XIV sec. la regola era già in uso, e sia l’olio della cucina di magro che il lardo della cucina di grasso venivano spesso gestiti da un’unica corporazione, quella dei “lardaroli”.
Questa integrazione prevedeva tuttavia delle differenze nella scelta dell’olio. L’olio d’oliva veniva consumato dalla élite, mentre le classi subalterne usavano oli vegetali alternativi, come quello di noce o di mandorle.
Negli ultimi secoli del Medioevo le autorità ecclesiastiche consentirono per i giorni di magro anche l’uso del burro, inizialmente solo nelle regioni del nord Europa dove la tradizione popolare già lo utilizzava, poi anche nei paesi come l’Italia.
Secondo gli studiosi questa preferenza delle aree del nord nacque probabilmente più per ragioni di disgusto che di gusto. Il sapore acre dell’olio d’oliva, molto apprezzato nella cucina mediterranea, era inviso ai consumatori ricchi dell’Europa continentale, che così decisero di cambiare grasso, nonostante l’immagine povera che socialmente connotava il burro.
Nel corso di tale vicenda il burro finì per cambiare statuto, diventando un prodotto “alla moda” anche negli usi delle classi privilegiate del sud. Il momento decisivo di tale svolta pare che avvenne nel XV sec., come testimonierebbero le ricette di Mastro Martino.
Nel Cinquecento la cucina di corte faceva ormai regolarmente uso del burro, e l’Opera di Scappi costituisce un esempio di come scegliere il grasso:
-lardo e strutto per i giorni di grasso;
-burro per i giorni di magro (venerdì e sabato)
-olio d’oliva o di mandorle per le vigilie e le quaresime.
Il burro poteva però all’occorrenza anche sostituire gli altri grassi.
Tra Sette-Ottecento l’avanzata del burro continuò, e lo stesso Pellegrino Artusi proponendo una geografia dei grassi alimentari, dalla quale è assente qualunque riferimento al calendario liturgico, scrive che ogni popolo usa per friggere l’unto che meglio si produce nella propria area.
In Toscana si da la preferenza all’Olio d’oliva, in Lombardia al burro, e nell’Emilia al lardo.

domenica 11 settembre 2011

La cucina flambè 5

Alcuni consigli prima di iniziare

Questi consigli vi aiuteranno a lavorare meglio con la cucina flambè. Si tratta di consigli tecnici-operativi.
Non utilizzare pentole, ma padelle. Queste devono essere in rame o acciaio inossidabile.
Evitare di usare padelle con rivestimento antiaderente.
Non scaldate troppo la padella.
Utilizzate cucchiai o forchette di acciaio per rimescolare; evitate con i rebbi della forchetta di graffiare la padella.
Non usate utensili di legno o di plastica che sono inadatti al fuoco.
Tenetevi lontani da tendaggi e non accendete aspiratori se siete in cucina.
Stare a giusta distanza dalla padella, onde evitare ustioni e bruciature di capelli. Così anche per i vostri ospiti.
Mai usare direttamente la bottiglia per versare il liquore: ricorrete invece ad una piccola brocca di vetro oppure un bicchiere.
Se volete facilitare l'evaporazione dell'alcol ruotate la padella.
La preparazione va mangiata solo dopo che la fiamma si sarà spenta naturalmente.

venerdì 9 settembre 2011

La cucina flambè 4

I liquori da usare nella cucina flambe'

Per utilizzare i liquori nella cucina flambè si seguono alcune regole: non si impiegano ad esempio distillati che hanno una gradazione alcolica superiore ai 40-45°, poiché la loro accensione potrebbe risultare troppo pericolosa.
Tra i tanti i distillati più indicati abbiamo: l'armagnac, il calvados, il gin, la vodka, il brandy, il cognac. Questi si abbinano bene con le preparazioni salate.
Liquori invece come il rum, Curaçao, maraschino, acqueviti di frutta, si
accompagnano bene a preparazioni dolci (alcuni invece sono adatti sia per dolci che per piatti salati).
Vediamo in dettaglio questi distillati e liquori.

Armagnac: l'Armagnac si produce in Francia, precisamente in Guascogna. Ha un colore ambrato e limpido. Il nome pare venga da Hermann, compagno d'armi di Clodoveo, arrivato nella zona dopo la battaglia di Vouillé‚ (dove i Franchi sconfissero i Visigoti nel 507). Si adatta a piatti forti, come carni rosse, ma anche alla frutta.

Brandy: la parola deriva da brandewijin in olandese o da branwini, o branwein e significa vino bruciato. Con il passare dei secoli si è contratta in brandy e in tutto il mondo designa l'acquavite di vino.
Il brandy è prodotto in Russia, in America Latina, in Francia, in Sudafrica. In Spagna, dove il brandy vanta una tradizione antichissima, dal 1987 è stata varata una denominazione d'origine per il brandy di Jerez de la Frontera. Nella cucina di sala il brandy si adatta con primi piatti, carni, pesce, selvaggina, frutta, dolci e gelati.

Calvados: è ottenuto dalla distillazione del sidro, il succo che viene ricavato dalla fermentazione delle mele. Si presenta con un colore dorato, profumo intenso e penetrante. Si abbina a selvaggina, alle carni di manzo e maiale, soprattutto al filetto di manzo.

Cognac: è il più famoso distillato francese, prodotto nella regione dello Charente, in Francia. Conferisce ai cibi una lunga persistenza aromatica: è adatto a piatti forti, carni rosse, ma se usato in piccole dosi può anche essere utilizzato con della frutta, come i cachi ad esempio.

Curaçao: si tratta di un infuso di fiori e scorza di arancia amara, originario dell'isola di Curaçao, che fa parte del piccolo arcipelago delle Antille olandesi situato a poca distanza dal Venezuela. Due sono le varietà: l'orange, dolce, di colore arancione ed il triple-sec, di colore bianco paglierino, più secco. In commercio trovate anche delle varietà colorate diversamente (tra le quali quello famoso di colore blue). È molto usato nella preparazione dei dolci.
Altri liquori all'aroma di arancia adatti per dolci alla fiamma sono: Aurum, Grand Marnier ed il Cointreau.

L'Aurum: liquore prodotto a Pescara. È il frutto di una miscela di brandy lungamente invecchiati ed essenza di arancia con zucchero. Il nome venne creato su commissione da Gabriele d'Annunzio, il quale si ispirò alla lingua latina: auratnium, arancio, e aurum, oro.

Grand Marnier: nome di un liquore francese ottenuto dalla distillazione del fermentato di bucce d'arance amara di Haiti; viene aggiunto cognac invecchiato.

Cointreau: la base del cointreau è costituita da una macerazione di scorze d'arancia in alcol neutro. Sono utilizzate due varietà: le arance amare delle Antille e le arance dolci del Mediterraneo. La macerazione delle bucce dura una notte, dopo di che il tutto viene distillato una prima volta con alambicco charentais ottenendo un prodotto a 8O-85°. Il Cointreau liscio si beve in un bicchiere da cognac, si utilizza per numerosi cocktails o in long drink con acqua tonica. É molto usato anche per i dolci e in pasticceria, riscaldato è un
ottimo punch.

Gin: acquavite di ginepro dalla gradazione alcolica intorno ai 38-45° gradi. Tra i cereali utilizzati c'e' la segale. Viene aromatizzata anche con spezie, come bacche ginepro. Si adatta in particolar modo ai risotti, quaglie e selvaggina.

Grappa: acquavite ottenuta dalla distillazione delle vinacce di uva. Si utilizza poco in cucina poiché nella sua composizione vi sono aromi forti che non vengono completamente sfumati e aromatizzati. Sconsigliato per risotti e minestre, mentre si può aggiungere, a fine cottura, a carni, salumi e capriolo.

Kirsh: liquore tipico dell'Europa centrale, ma prodotto anche in Alto Adige. Il suo nome tedesco vuol dire acqua di ciliegie. In cucina viene impiegato per aromatizzare le macedonie di frutta.

Maraschino: liquore ottenuto dalla distillazione delle marasche. Molto usato in pasticceria e per aromatizzare le macedonie di frutta. Ha una gradazione alcolica di 35-38° e si adatta per le preparazioni flambé sui dolci.

Rum: acquavite derivata dalla canna da zucchero. Tipica dei Caraibi, la sua gradazione si aggira sui 40°. Viene utilizzato in pasticceria, per torte, budini, sciroppi, macedonie di frutta e fiammeggiare dessert.

Vodka: acquavite di origine russa, ha una gradazione alcolica tra i 40-45°. ha un aspetto incolore e trasparente, e il suo nome russo è voda, che vuol dire acqua. La vodka è adatta per primi piatti e pesce.

mercoledì 7 settembre 2011

Il gatto

Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato;
ritira le unghie nelle zampe,
lasciami sprofondare nei tuoi occhi
in cui l'agata si mescola al metallo.
Quando le mie dita carezzano a piacere
la tua testa e il tuo dorso elastico
e la mia mano s'inebria del piacere
di palpare il tuo corpo elettrizzato,
vedo in ispirito la mia donna.
Il suo sguardo, profondo
e freddo come il tuo,
amabile bestia,
taglia e fende simile a un dardo,
e dai piedi alla testa
un'aria sottile,
un temibile profumo ondeggiano
intorno al suo corpo bruno.

Baudelaire

La Cucina Flambé 3

I cibi adatti alla cucina flambe'

I cibi che possono guadagnare in sapore assorbendo il liquore durante la lavorazione alla lampada, vanno dai primi ai dolci: quindi sia preparazioni cosiddette salate che dolci. Per alcune preparazioni, come quelle salate, si usa flambare durante la cottura; per i dolci si fa l'operazione davanti ai clienti. A volte ci sia aiuta anche con dello zucchero che viene spolverato sul dolce
che sta flambando. Sia le carni che il pesce si adattano a questo tipo di cucina. Le carni assumono un profumo più raffinato ed un gusto pronunciato. Tra le carni, c'è' da preferire pezzi piccoli (rognoni ad esempio): infatti risultano più aromatizzati a differenza delle carni intere. Citiamo tra le più indicate: carni di manzo, di vitello e di agnello; scaloppine, medaglioni, involtini, fricando'. Ed ancora: tranci di filetto, hamburgers, nodini, costolette, spiedini, eccetera.
Anche pollame, selvaggina e cacciagione si adattano a questo tipo di cottura, anche perché con l'utilizzo del liquore si può ammorbidire il gusto deciso di queste carni.
Tra i pesci, i più adatti sono filetti e tranci. Tra i crostacei gamberoni e scampi.
La frutta può essere preparata in vari modi, con creme o gelati. Mele, fichi, arance, ananas, banane ben si prestano ad essere flambate.

martedì 6 settembre 2011

La Cucina Flambé 2

Gli strumenti da utilizzare

Per la cottura alla fiamma delle vivande è consigliato usare una padella, rotonda, bassa e munita di lungo manico. I materiali migliori sono il rame e l'acciaio inossidabile. Da evitare assolutamente il ferro e l'alluminio poiché a contatto con la fiamma questi si ossidano con facilità ed il metallo con rivestimento antiaderente si stacca facilmente rendendo di fatto tossici i cibi.
Di solito la padella più usata è quella in rame con interno inossidabile. In alcuni ristoranti di lusso, si narra, che si usino anche padelle d'argento.
Se dovete cucinare in una piccola o grande sala, vi converrà acquistare la lampada, un fornello speciale dove si appoggerà la padella. Altrimenti vanno bene anche i fornelli di casa.
Le lampade possono avere varie forme: tutte hanno comunque in comune un serbatoio per il materiale infiammabile, un bruciatore ed un regolatore di fiamma.
Alcune possono essere a gas, altre ad alcol liquido oppure con speciali prodotti a base di alcool solidificato. Quelle con cui si lavora meglio sono le lampade ad alcool liquido, perchè hanno un tipo di cottura dolce.
Le lampade non devono essere confuse con i fornelli da campo.
Sono eleganti e graziose da vedersi, oltre che costose.
Ma, ripetiamo, si può fare anche un'ottima figura utilizzando i normali fornelli da casa.

domenica 4 settembre 2011

La cucina flambè 1

Che cos'è la cucina flambé

La cucina flambé è anche definita come cucina di sala, ed è la parte più spettacolare dei piatti elaborati davanti a clienti. In una sala ristorante richiede, da parte del cameriere di sala, conoscenza di tecniche di cucina, una preparazione, disinvoltura e padronanza nell'eseguire la ricetta.

Solitamente la cucina di sala può prevedere due sviluppi:
a) caso in cui si elabora completamente il piatto davanti al cliente;
b) Si da solo un tocco finale al piatto che viene preparato in cucina. Poi verrà portato nella sala, davanti ai clienti, e si porterà a termine la cottura con le tipiche fiammate provocati dai liquori a contatto con la padella o con la fiamma dell'apposita “lampada”.
Il termine deriva dal francese flamber che significa infiammare, accendere, e fino a poco tempo fa in Francia era una tecnica molto utilizzata.
Il procedimento principe consiste nel bagnare la preparazione con alcool (può essere un distillato come il Brandy o il Cognac oppure un liquore), per infiammarlo in modo tale da creare quella fiammata che si esaurirà velocemente (o lentamente).
La fiammata può avvenire in due modi:
a) Per contatto diretto dei vapori con la fiamma di cottura, inclinando leggermente la padella in avanti;
b) per combustione diretta nel recipiente.
Quindi nel primo caso si inclina leggermente la padella in avanti, in modo tale che la fiamma ne lambisca i bordi e li surriscaldi. Nel secondo caso basta accendere con un fiammifero il liquido nel recipiente.

Passiamo agli avvertimenti.
Per alcuni giocare con il fuoco potrebbe essere divertente, ma è molto rischioso. Sovente ho letto, nelle varie cronache, di clienti “incendiati” da camerieri troppo disinvolti e sicuri di se...
Primo accorgimento: utilizzate sempre dosi piccoli di liquori o alcool (20 cl ad esempio);
l'alcool va messo in delle piccole brocche di vetro. Sconsigliabile l'uso di versare direttamente dalla bottiglia il liquore: potrebbe accendersi improvvisamente senza nessun vostro intervento, con conseguente fiammata di ritorno.
Per tale motivo consiglio anche il primo sistema: ovvero inclinare la padella in avanti, far surriscaldare il bordo, versare (dalla brocca) l'alcool tenendovi a distanza ed inclinare di nuovo.
L'alcool si raccoglierà verso il basso ed al contatto del bordo surriscaldato, prenderà fuoco. Sconsigliato invece, se non siete esperti, l'uso del fiammifero.
L'uso della cucina flambé si può utilizzare per primi piatti, per secondi e dolci. Non tutti i piatti necessitano di essere flambati: ed è per questo che spesso si parla generalmente di cucina di sala.