Ed ora farò un po' di pubblicità a questa birra, che io trovo buonissima.
Birreria Cittavecchia
E' un vero e proprio microbirrificio dal 1999, non ha un suo pub, ma rifornisce ristoranti e pub della zona di Trieste. Il mastro birraio, Michele Barro, e' un appassionato ed esperto homebrewer (lo trovate sul newsgroup it.hobby.birra) che nell'estate 99 ha fatto il grande passo.
Produceva inizialmente una lager chiara ed una rossa in stile Vienna, più forte ma più attenuata, gustosa senza essere pesante. In seguito si e' aggiunta anche la strong ale formidabile e la weizen.
Per notizie sulla gamma e dove reperire le birre, consultate il loro sito. La produzione si attesta
sui 1000 hl annui.
Questi sono gli abbinamenti che il birrificio consiglia.
Cittavecchia chiara
Frittata con bruscandoli
Ingredienti
8 uova
200 gr. di bruscandoli (cime di luppolo)
100 gr. di cipolla
35 gr. di burro
0,25 decilitri di olio extravergine di oliva
2 cucchiai di grana padano grattugiato
sale e pepe
Preparazione
Lavate, mondate e tritate i bruscandoli, quindi fateli cuocere a fuoco lento in una padella dove avrete precedentemente fatto imbiondire nell'olio e burro la cipolla tritata.
Quando i bruscandoli saranno appassiti, amalgamateli in una ciotola assieme alle uova sbattute con il grana e un pizzico di sale e pepe.
Cuocete l'impasto in un padellino del diametro di 12 cm. ricavandone poi
otto piccole frittate che dovranno essere alte e dorate.
Cittavecchia rossa
Jota Triestina
Tipico piatto che caratterizza la cucina triestina e, si ritrova, sotto forma di varianti diverse, in un’area che comprende il Friuli e la Slovenia, ma la vera capitale e’ Trieste. L'impiego di ingredienti poveri fa supporre (fagioli bolliti e crauti) che sia nata come un modo per riutilizzare gli avanzi .
Viene preparata con i “capuzi garbi” ed i fagioli in una ricetta che non ammette alcun tipo di
innovazione checchè anche Vissani c’abbia provato con una sua versione con capesante che ha
ottenuto consensi incondizionati dagli snob appassionati di gastronomia che circolano a piede
liberone ll’intera penisola, ma a Trieste e nell’intera zona di produzione di questa prelibatezza
rimasti sbalorditi e presi all sprovvista hanno finito poi col riderne.
E già, la jota è un piatto “tradizionalista” per eccellenza, quasi a paragonarlo al
fondamentalismo religioso islamico, e l’ultima variante si pregia di avere sul groppone almeno
cinque secoli di storia .
Cesare Fonda, appassionato storico e gastronomo, le ha dedicato addirittura un simpaticissimo
libro in dialetto triestino, Ocio a la jota (Edizioni Italo Svevo - Trieste), che bisognerebbe leggere
per capire quanta storia ci sia in questa ricetta così povera, ma geniale.
Per dirne solo una: qualunque triestino vi dirà che la jota si fa coi capuzi garbi (cioè con i cavoli
cappucci acidi), che altro non sono che i crauti.
Il fatto che i triestini si vantano di aver inventato la ricetta per conservare i capuzi nel sale fino a
farli fermentare e inacidire fin dai tempi di Carlo Magno.
Se fossero stati importati dall’Austria, come molte altre specialità, si sarebbero chiamati crauti,
come a Milano o a Venezia.
Ma a Trieste il copyright parla di capuzi garbi, e non si può far torto a un’intera città.
In una jota che si rispetti bisogna utilizzare necessariamente crauti di quelli che al mercato si
vendono ancora sciolti, nelle mastelle di legno, così nauseabondi da richiedere almeno un
lavaggio in acqua fredda. Lo stesso discorso vale per i fagioli: un tempo venivano utilizzati i
fagioli con l’occhietto ( fasioi co l’ocio), ma con l’evoluzione dei tempi anche la cucina ha i suoi
cambiamenti ed ecco che nella jota, dal 1492, anno della scoperta dell’America entrano anche
le patate ed i fagioli con l’occhio lasciano il posto a quelli rossi (borlotti o di Lamn).
La ricetta della jota più o meno è questa :
Un quarto di chilo di fagioli secchi messi a mollo la sera prima, e poi bolliti a parte assieme a tre
patate a pezzetti e un pezzo di maiale affumicato (piedino, costine o altro), un chilo di capuzzi
garbi stufati con lo strutto , uno spicchio d’aglio e un paio di salsicce affumicate (quelle di
cragno!, a grana grossa, sono le migliori). Quando fagioli e patate sono cotti se ne passano una
metà con il passaverdurre per rendere la minestra più densa, poi si uniscono i capuzzi e, tocco
finale, si aggiunge l’aiprem, fatto con due cucchiai di farina rosolata nell’olio (o meglio strutto).
Sarebbe la roux francese, insomma un legante, ma le vecchie cuoche triestine chiamano questo
disfrito con il suo antico nome ungherese.
Ma infine, chi ha inventato la jota, nella notte dei tempi?
E ritorniamo sempre all’aiuto di Cesare Fonda il quale ci propone una sua teoria:
un po di fagioli rimasti in una pignatta, un po di capuzzi avanzati in un’altra: quantità insufficienti per tutta la famiglia, se non unendoli e allungando il tutto con l’acqua e la farina
fritta.
L’etimologia del nome e’ controversa: c e’ chi lo fa derivare dal tardo latino jutta, brodaglia, il
quale a sua volta originerebbe da una radice celtica; il che e’ molto probabile visto che, come
riferisce il Pinguentini, lo stesso significato di brodo, broda¬glia, beverone o mangime lo si
ritrova nel termine cimbro yot, nell’irlandese it e nel gergo del Poi¬tou jut, mentre in Cecoslovacchia con il termine jucba s’intende una minestra di cavoli.
Ma il termine è diffuso anche in Emilia: a Parma, Reggio e Modena, infatti, con il termine dzota
si indica una brodaglia.
Ed è sempre l’attento Fonda che ricorda anche tutte le altre preparazioni che si ritrovano su tutto
il territorio: quella bisiaca (cioè della zona di Gradisca d’Isonzo) con brovada (rape acide) al
posto dei capuzi, quella carsolina che utilizza meno fagioli ma con l’aggiunta di orzo) quella
sempre carsolina con il mais al posto dell’orzo ed infine la goriziana (metà brovada e metà capuzi.
In Germania, nonostante facciano una massiccia consumazione dei crauti in tutte le salse, questo minestrone e’ —stranamente — del tutto sconosciuto.
Su questo minestrone i triestini non hanno mai smesso di fare esperimenti, prova ne siano le
innumerevoli versioni che variano da famiglia a famiglia, un po come succede per la pastiera a
Napoli.
Per prepararla avrete bisogno di tre recipienti distinti: una casseruola per i crauti, una padella per il disfrito e una pentola per cuocere i fagioli e per completare il minestrone.
Meglio se avete la possibilita’ di usare una pentola in coccio risultato sarà notevole
Ingredienti
un cucchiaio d’olio
un etto di pancetta tagliata a striscio/me un po’ spesse
tre etti di crauti
tre etti di fagioli imbriagoni secchi, oppure borlotti di Lamon o galiziani (saluggia) tenuti a mollo nell’acqua per un ‘intera notte
un po’ di maiale affumicato da scegliere tra orecchio, codino, costine
un etto di cotenna fresca grassa in un unico pezzo
una foglia di alloro due spicchi d’aglio schiacciati e pelati
sale e pepe
mezzo cucchiaio di strutto o un cucchiaio d ‘olio per il soffritto
un altro spicchio d ‘aglio per il soffritto, tritatissimo
due cucchiai di farina
Preparazione
Mettete i fagioli sul fuoco coprendoli abbondantemente con acqua fredda, assieme alla cotenna, al maiale affumicato, alla foglia di alloro e agli spicchi d’aglio. L’acqua non deve essere salata.
Mentre i fagioli iniziano a cuocere, versate l’olio in un tegame e fatevi colorire bene la pancetta, quindi aggiungete i crauti, salate, pepate, coprite il recipiente e continuate la cottura a fuoco molto dolce.
Se sarete bravi, crauti e fagioli saranno cotti assieme, dopo circa un’ora e mezza di sobbollitura.
I crauti vanno sorvegliati spesso e mescolati per evitare che si asciughino troppo attaccandosi al fondo del tegame.
Se necessario, bisogna aggiungere un po’ d’acqua.
Appena prima che i fagioli siano cotti, cioe’ dopo poco piu’ di un’ora, preparate il soffritto: fate riscaldare lo strutto o l’olio in una padella, mettetevi lo spicchio d’aglio tritato e fatelo colorire, quindi unite la farina e — mescolando in continuazione — fatela imbiondire, quindi versate il soffritto nella pentola dei fagioli.
A questo punto unite ai fagioli anche i crauti e, se necessario, ripristinate il livello del liquido.
Salate moderatamente, pepate e ultimate la cottura sempre a fuoco basso.
Se volete potete passare parte dei fagioli.
Il piatto non andrebbe servito subito, ma lasciato a riposare sino al giorno successivo, quando lo si fara’ nuovamente bollire prima di distribuirlo nei piatti.
Da notare, inoltre, che i veri intenditori preferiscono la jota tiepida e non calda: e’ cosi’, infatti, che questa pietanza tocca la perfezione.
Varianti
Con le patate. Non e’ facile ottenere una jota di densita’ ottimale: di solito essa risulta troppo liquida o troppo densa. Nel secondo caso aggiungete altra acqua e fate bollire per almeno ulteriori dieci minuti, ma il risultato finale sara’ compromesso. Nel secondo caso e’ sufficiente aggiungere delle patate lessate e passate, in quantita’ tale da ottenere la densita’ voluta.
Le patate possono essere aggiunte anche crude e a pezzi, circa mezzora prima che i fagioli siano cotti. Verranno passate soltanto a fine cottura e ri¬messe nel minestrone.
Con le luganighe. Dopo un’ora di cottura aggiungete nella pentola dei fagioli due crodighini o due luganighe de Cragno. Ricordo che tutte le salsicce, prima di essere messe a cuocere in una minestra, devono essere ripetutamente bucherellate con una forchetta per evitare che si aprano.
Con l’osso de persuto. Quando mettete a cuocere i fagioli aggiungete anche un osso di prosciutto cotto, di quelli che tutte le salumerie offrono volentieri ai loro clienti proprio per questo scopo. Fate molta attenzione che all’osso non siano attaccate delle parti rancide, riconoscibili per l’odore e per la colorazione giallognola: rovinerebbero irrimediabilmente la iota.
Del tutto inadatto e’ invece l’osso del prosciutto crudo, quasi sempre rancido.
Con l’orzo a la carsolina. Alla jota si puo’ anche aggiungere un po’ d’orzo penato, circa una manciata, da mettere nei fagioli a meta’ cottura. Approfitto per far notare come non sia affatto vero che l’orzo penato vada tenuto a bagno prima della cottura: si cuoce benissimo anche mettendolo come esce dalla sua confezione, solo che ci impiega una quindicina di minuti in piu’.
Con formenton. A meta’ cottura dei fagioli aggiungete una manciata di farina gialla per polenta. Da questo momento sara’ necessario mescolare piuttosto di frequente per impedire che la farina si attacchi.
Lota bisiaca. E’ il compendio delle due varianti precedenti, dunque va preparata con farina gialla da polenta, con fagioli freschi, senza il disfrito e, se si preferisce, sostituendo i crauti con la brovada.
Versione de Vonderweid. Risciacquate molto bene i capuzi garbi e fateli bollire per un’ora e
mezza, allungate con un litro d’acqua, aggiungete due luganighe de Cragno e un po’ di maiale
affumicato, e proseguite la cottura per altra mezz’ora.
A parte intanto avrete fatto cuocere le patate e i fagioli precedentemente ammollati in acqua
non salata. Passate le patate e meta’ dei fagioli e unite il tutto ai capuzi.
Preparare un disfrito di farina imbiondita nell’olio e aggiungetelo alla preparazione. Salate,
pepate e servite, possibilmente dopo aver fatto raffreddare la jota e averla nuovamente riscaldata.
Per risparmiare tempo. Una jota rapida si ottiene insaporendo con la pancetta, per circa venti
minuti, dei crauti in scatola precotti. Per lo stesso tempo verranno cotti anche i fagioli ammollati,
ma in pentola a pressione. Intanto preparerete il soffritto. Alla fine riunirete i fagioli, i crauti e il
soffritto e farete bollire il tutto per altri dieci minuti.
Cittavecchia Formidabile
Strucolo alla carsolina
Ingredienti
250 gr di farina
1 uovo
100 gr di pangrattato
50 gr di burro
80 gr di uva passa
80 gr di noci macinate
30 gr di pinoli
4 carrube grattugiate
sale
80 gr di burro
Preparazione
Lavorare una pasta morbida con un uovo e un guscio di acqua; lasciarla riposare. Stenderla a forma di rettangolo e dello spessore di una costa di coltello su una salvietta infarinata.
Spargere sulla sfoglia pangrattato, burro fuso, uva, noci, pinoli carrube. Arrotolare come uno strucolo aiutandosi con la salvietta; saldare bene i margini della pasta con latte tiepido.
Avvolgerlo in una salvietta cui saranno state annodate le cocche; metterlo in una teglia sopra un piatto capovolto (per evitare che tocchi il fondo).
Lasciar cuocere lentamente in acqua bollente salata per un'ora.
Tagliare lo strucolo a pezzi lunghi sette cm circa, condire con burro rosolato e volendo anche con un po' di zucchero e cannella.
Deve risultare poco dolce.
Sul Carso è spesso condito con burro e parmigiano.
Cittavecchia weizen
Sardoni impanadi
Ingredienti
500 gr di alici
1 uovo sodo tritato fine
2 cucchiai di pangrattato
1 cucchiaio di prezzemolo tritato
½ spicchio d’aglio tritato
sale
pepe
olio extravergine d’oliva
Per la panatura
1 uovo
farina
pangrattato
olio per friggere
Preparazione
Pulite le alici, rimuovendo la testa, le interiora, la spina dorsale, ma avendo cura di lasciare la coda; apritele a libro e poi asciugatele.
Preparate il ripieno: tritate l’uovo sodo e unite il pangrattato, il prezzemolo e l’aglio. Salate, pepate, date un giro abbondante d’olio e amalgamate il tutto.
Disponete su un piano le alici con la pelle verso l’esterno, ponete su ciascun pesce un cucchiaino di ripieno e coprite con un altro pesce, avendo cura di lasciare la pelle sempre dal lato esterno.
Passate i pesci nella farina, poi nell’uovo sbattuto e infine nel pane grattugiato. Friggete in olio caldo e profondo.
Togliete l’olio in eccesso su della carta assorbente e servite dopo aver cosparso con un po’ di sale.