sabato 26 novembre 2011

Consigli dai birrifici


Ed ora farò un po' di pubblicità a questa birra, che io trovo buonissima.

Birreria Cittavecchia

E' un vero e proprio microbirrificio dal 1999, non ha un suo pub, ma rifornisce ristoranti e pub della zona di Trieste. Il mastro birraio, Michele Barro, e' un appassionato ed esperto homebrewer (lo trovate sul newsgroup it.hobby.birra) che nell'estate 99 ha fatto il grande passo.
Produceva inizialmente una lager chiara ed una rossa in stile Vienna, più forte ma più attenuata, gustosa senza essere pesante. In seguito si e' aggiunta anche la strong ale formidabile e la weizen.
Per notizie sulla gamma e dove reperire le birre, consultate il loro sito. La produzione si attesta
sui 1000 hl annui.

Questi sono gli abbinamenti che il birrificio consiglia.

Cittavecchia chiara

Frittata con bruscandoli 

Ingredienti

8 uova
200 gr. di bruscandoli (cime di luppolo)
100 gr. di cipolla
35 gr. di burro
0,25 decilitri di olio extravergine di oliva
2 cucchiai di grana padano grattugiato
sale e pepe

Preparazione
Lavate, mondate e tritate i bruscandoli, quindi fateli cuocere a fuoco lento in una padella dove avrete precedentemente fatto imbiondire nell'olio e burro la cipolla tritata.
Quando i bruscandoli saranno appassiti, amalgamateli in una ciotola assieme alle uova sbattute con il grana e un pizzico di sale e pepe.
Cuocete l'impasto in un padellino del diametro di 12 cm. ricavandone poi
otto piccole frittate che dovranno essere alte e dorate.

Cittavecchia rossa

Jota Triestina

Tipico piatto che caratterizza la cucina triestina e, si ritrova, sotto forma di varianti diverse, in un’area che comprende il Friuli e la Slovenia, ma la vera capitale e’ Trieste. L'impiego di ingredienti poveri fa supporre (fagioli bolliti e crauti) che sia nata come un modo per riutilizzare gli avanzi .
Viene preparata con i “capuzi garbi” ed i fagioli in una ricetta che non ammette alcun tipo di
innovazione checchè anche Vissani c’abbia provato con una sua versione con capesante che ha
ottenuto consensi incondizionati dagli snob appassionati di gastronomia che circolano a piede
liberone ll’intera penisola, ma a Trieste e nell’intera zona di produzione di questa prelibatezza
rimasti sbalorditi e presi all sprovvista hanno finito poi col riderne.
E già, la jota è un piatto “tradizionalista” per eccellenza, quasi a paragonarlo al
 fondamentalismo religioso islamico, e l’ultima variante si pregia di avere sul groppone almeno
cinque secoli di storia .
Cesare Fonda, appassionato storico e gastronomo, le ha dedicato addirittura un simpaticissimo
libro in dialetto triestino, Ocio a la jota (Edizioni Italo Svevo - Trieste), che bisognerebbe leggere
per capire quanta storia ci sia in questa ricetta così povera, ma geniale.
Per dirne solo una: qualunque triestino vi dirà che la jota si fa coi capuzi garbi (cioè con i cavoli
cappucci acidi), che altro non sono che i crauti.
Il fatto che i triestini si vantano di aver inventato la ricetta per conservare i capuzi nel sale fino a
farli fermentare e inacidire fin dai tempi di Carlo Magno.
Se fossero stati importati dall’Austria, come molte altre specialità, si sarebbero chiamati crauti,
come a Milano o a Venezia.
Ma a Trieste il copyright parla di capuzi garbi, e non si può far torto a un’intera città.
In una jota che si rispetti bisogna utilizzare necessariamente crauti di quelli che al mercato si
vendono ancora sciolti, nelle mastelle di legno, così nauseabondi da richiedere almeno un
lavaggio in acqua fredda. Lo stesso discorso vale per i fagioli: un tempo venivano utilizzati i
fagioli con l’occhietto ( fasioi co l’ocio), ma con l’evoluzione dei tempi anche la cucina ha i suoi
cambiamenti ed ecco che nella jota, dal 1492, anno della scoperta dell’America entrano anche
le patate ed i fagioli con l’occhio lasciano il posto a quelli rossi (borlotti o di Lamn).
La ricetta della jota più o meno è questa :
Un quarto di chilo di fagioli secchi messi a mollo la sera prima, e poi bolliti a parte assieme a tre
patate a pezzetti e un pezzo di maiale affumicato (piedino, costine o altro), un chilo di capuzzi
garbi stufati con lo strutto , uno spicchio d’aglio e un paio di salsicce affumicate (quelle di
cragno!, a grana grossa, sono le migliori). Quando fagioli e patate sono cotti se ne passano una
metà con il passaverdurre per rendere la minestra più densa, poi si uniscono i capuzzi e, tocco
finale, si aggiunge l’aiprem, fatto con due cucchiai di farina rosolata nell’olio (o meglio strutto).
Sarebbe la roux francese, insomma un legante, ma le vecchie cuoche triestine chiamano questo
disfrito con il suo antico nome ungherese.

Ma infine, chi ha inventato la jota,  nella notte dei tempi?
E ritorniamo sempre all’aiuto di Cesare Fonda il quale ci propone una sua teoria:
un po di fagioli rimasti in una pignatta, un po di capuzzi avanzati in un’altra: quantità insufficienti per tutta la famiglia, se non unendoli e allungando il tutto con l’acqua e la farina
fritta.
L’etimologia del nome e’ controversa: c e’ chi lo fa derivare dal tardo latino jutta, brodaglia, il
quale a sua volta originerebbe da una radice celtica; il che e’ molto probabile visto che, come
riferisce il Pinguentini, lo stesso significato di brodo, broda¬glia, beverone o mangime lo si
ritrova nel termine cimbro yot, nell’irlandese it e nel gergo del Poi¬tou jut, mentre in Cecoslovacchia con il termine jucba s’intende una minestra di cavoli.
Ma il termine è diffuso anche in Emilia: a Parma, Reggio e Modena, infatti, con il termine dzota
si indica una brodaglia.
Ed è sempre l’attento Fonda che ricorda anche tutte le altre preparazioni che si ritrovano su tutto
il territorio: quella bisiaca (cioè della zona di Gradisca d’Isonzo) con brovada (rape acide) al
posto dei capuzi, quella carsolina che utilizza meno fagioli ma con l’aggiunta di orzo) quella
sempre carsolina con il mais al posto dell’orzo ed infine la goriziana (metà brovada e metà capuzi.
In Germania, nonostante facciano una massiccia consumazione dei crauti in tutte le salse, questo minestrone e’ —stranamente — del tutto sconosciuto.
Su questo minestrone i triestini non hanno mai smesso di fare esperimenti, prova ne siano le
innumerevoli versioni che variano da famiglia a famiglia, un po come succede per la pastiera a
Napoli.
Per prepararla avrete bisogno di tre recipienti distinti: una casseruola per i crauti, una padella per il disfrito e una pentola per cuocere i fagioli e per completare il minestrone.
Meglio se avete la possibilita’ di usare una pentola in coccio risultato sarà notevole

Ingredienti

un cucchiaio d’olio
un etto di pancetta tagliata a striscio/me un po’ spesse
tre etti di crauti
tre etti di fagioli imbriagoni secchi, oppure borlotti di Lamon o galiziani (saluggia) tenuti a mollo nell’acqua per un ‘intera notte
un po’ di maiale affumicato da scegliere tra orecchio, codino, costine
un etto di cotenna fresca grassa in un unico pezzo
una foglia di alloro due spicchi d’aglio schiacciati e pelati
sale e pepe
mezzo cucchiaio di strutto o un cucchiaio d ‘olio per il soffritto
un altro spicchio d ‘aglio per il soffritto, tritatissimo
due cucchiai di farina

Preparazione
Mettete i fagioli sul fuoco coprendoli abbondantemente con acqua fredda, assieme alla cotenna, al maiale affumicato, alla foglia di alloro e agli spicchi d’aglio. L’acqua non deve essere salata.
Mentre i fagioli iniziano a cuocere, versate l’olio in un tegame e fatevi colorire bene la pancetta, quindi aggiungete i crauti, salate, pepate, coprite il recipiente e continuate la cottura a fuoco molto dolce.
Se sarete bravi, crauti e fagioli saranno cotti assieme, dopo circa un’ora e mezza di sobbollitura.
I crauti vanno sorvegliati spesso e mescolati per evitare che si asciughino troppo attaccandosi al fondo del tegame.
Se necessario, bisogna aggiungere un po’ d’acqua.
Appena prima che i fagioli siano cotti, cioe’ dopo poco piu’ di un’ora, preparate il soffritto: fate riscaldare lo strutto o l’olio in una padella, mettetevi lo spicchio d’aglio tritato e fatelo colorire, quindi unite la farina e — mescolando in continuazione — fatela imbiondire, quindi versate il soffritto nella pentola dei fagioli.
A questo punto unite ai fagioli anche i crauti e, se necessario, ripristinate il livello del liquido.
Salate moderatamente, pepate e ultimate la cottura sempre a fuoco basso.
Se volete potete passare parte dei fagioli.
Il piatto non andrebbe servito subito, ma lasciato a riposare sino al giorno successivo, quando lo si fara’ nuovamente bollire prima di distribuirlo nei piatti.
Da notare, inoltre, che i veri intenditori preferiscono la jota tiepida e non calda: e’ cosi’, infatti, che questa pietanza tocca la perfezione.

Varianti
Con le patate. Non e’ facile ottenere una jota di densita’ ottimale: di solito essa risulta troppo liquida o troppo densa. Nel secondo caso aggiungete altra acqua e fate bollire per almeno ulteriori dieci minuti, ma il risultato finale sara’ compromesso. Nel secondo caso e’ sufficiente aggiungere delle patate lessate e passate, in quantita’ tale da ottenere la densita’ voluta.
Le patate possono essere aggiunte anche crude e a pezzi, circa mezzora prima che i fagioli siano cotti. Verranno passate soltanto a fine cottura e ri¬messe nel minestrone.

Con le luganighe. Dopo un’ora di cottura aggiungete nella pentola dei fagioli due crodighini o due luganighe de Cragno. Ricordo che tutte le salsicce, prima di essere messe a cuocere in una minestra, devono essere ripetutamente bucherellate con una forchetta per evitare che si aprano.

Con l’osso de persuto. Quando mettete a cuocere i fagioli aggiungete anche un osso di prosciutto cotto, di quelli che tutte le salumerie offrono volentieri ai loro clienti proprio per questo scopo. Fate molta attenzione che all’osso non siano attaccate delle parti rancide, riconoscibili per l’odore e per la colorazione giallognola: rovinerebbero irrimediabilmente la iota.
Del tutto inadatto e’ invece l’osso del prosciutto crudo, quasi sempre rancido.

Con l’orzo a la carsolina. Alla jota si puo’ anche aggiungere un po’ d’orzo penato, circa una manciata, da mettere nei fagioli a meta’ cottura. Approfitto per far notare come non sia affatto vero che l’orzo penato vada tenuto a bagno prima della cottura: si cuoce benissimo anche mettendolo come esce dalla sua confezione, solo che ci impiega una quindicina di minuti in piu’.

Con formenton. A meta’ cottura dei fagioli aggiungete una manciata di farina gialla per polenta. Da questo momento sara’ necessario mescolare piuttosto di frequente per impedire che la farina si attacchi.

Lota bisiaca. E’ il compendio delle due varianti precedenti, dunque va preparata con farina gialla da polenta, con fagioli freschi, senza il disfrito e, se si preferisce, sostituendo i crauti con la brovada.

Versione de Vonderweid. Risciacquate molto bene i capuzi garbi e fateli bollire per un’ora e
mezza, allungate con un litro d’acqua, aggiungete due luganighe de Cragno e un po’ di maiale
affumicato, e proseguite la cottura per altra mezz’ora.
A parte intanto avrete fatto cuocere le patate e i fagioli precedentemente ammollati in acqua
non salata. Passate le patate e meta’ dei fagioli e unite il tutto ai capuzi.
Preparare un disfrito di farina imbiondita nell’olio e aggiungetelo alla preparazione. Salate,
pepate e servite, possibilmente dopo aver fatto raffreddare la jota e averla nuovamente riscaldata.

Per risparmiare tempo. Una jota rapida si ottiene insaporendo con la pancetta, per circa venti
minuti, dei crauti in scatola precotti. Per lo stesso tempo verranno cotti anche i fagioli ammollati,
ma in pentola a pressione. Intanto preparerete il soffritto. Alla fine riunirete i fagioli, i crauti e il
soffritto e farete bollire il tutto per altri dieci minuti.


Cittavecchia Formidabile

Strucolo alla carsolina

Ingredienti

250 gr di farina
1 uovo
100 gr di pangrattato
50 gr di burro
80 gr di uva passa
80 gr di noci macinate
30 gr di pinoli
4 carrube grattugiate
sale
80 gr di burro

Preparazione
Lavorare una pasta morbida con un uovo e un guscio di acqua; lasciarla riposare. Stenderla a forma di rettangolo e dello spessore di una costa di coltello su una salvietta infarinata.
Spargere sulla sfoglia pangrattato, burro fuso, uva, noci, pinoli carrube. Arrotolare come uno strucolo aiutandosi con la salvietta; saldare bene i margini della pasta con latte tiepido.
Avvolgerlo in una salvietta cui saranno state annodate le cocche; metterlo in una teglia sopra un piatto capovolto (per evitare che tocchi il fondo).
Lasciar cuocere lentamente in acqua bollente salata per un'ora.
Tagliare lo strucolo a pezzi lunghi sette cm circa, condire con burro rosolato e volendo anche con un po' di zucchero e cannella.
Deve risultare poco dolce.
Sul Carso è spesso condito con burro e parmigiano.


Cittavecchia weizen

Sardoni impanadi 

Ingredienti

500 gr di alici
1 uovo sodo tritato fine
2 cucchiai di pangrattato
1 cucchiaio di prezzemolo tritato
½ spicchio d’aglio tritato
sale
pepe
olio extravergine d’oliva

Per la panatura
1 uovo
farina
pangrattato
olio per friggere

Preparazione
Pulite le alici, rimuovendo la testa, le interiora, la spina dorsale, ma avendo cura di lasciare la coda; apritele a libro e poi asciugatele.
Preparate il ripieno: tritate l’uovo sodo e unite il pangrattato, il prezzemolo e l’aglio. Salate, pepate, date un giro abbondante d’olio e amalgamate il tutto.
Disponete su un piano le alici con la pelle verso l’esterno, ponete su ciascun pesce un cucchiaino di ripieno e coprite con un altro pesce, avendo cura di lasciare la pelle sempre dal lato esterno.
Passate i pesci nella farina, poi nell’uovo sbattuto e infine nel pane grattugiato. Friggete in olio caldo e profondo.
Togliete l’olio in eccesso su della carta assorbente e servite dopo aver cosparso con un po’ di sale.

venerdì 25 novembre 2011

STRINGOZZI e STRASCINATI umbri


La pasta in Umbria è preparata soprattutto con sola farina di grano tenero e acqua, mentre raramente viene utilizzato l’uovo.
Diversi gli esempi:
-“ciriole o ceriole” (sorta di fettuccine ternane), il cui nome secondo alcuni deriverebbe dal latino “cereus” (cereo), il colore bianco della pasta preparata senza uovo, secondo altri dalla forma somigliante alle omonime anguilletta delle acque tiberine;
-“picchiettini”, bastoncini di pasta corta a sezione quadrata;
-“umbricini o umbricelli”, grossi spaghetti tirati a mano, che devono il nome alla somiglianza con i lombrichi;
-“strangozzi o stringozzi”, formato di pasta lunga a sezione quadrata tipica della tradizione contadina di Spoleto e Foligno. Detti anche “strozzapreti o strangolapreti”, e così chiamati per la somiglianza alle stringhe delle scarpe con le quali i rivoltosi anticlericali strangolavano, ai tempi del dominio dello Stato Pontificio, gli ecclesiastici di passaggio;
-“strascinati o penchi”, ruvide lasagnette saltate in padella, che dovrebbero nome e ricetta ad un evento accaduto nel 1494. Protagonista il condottiero Paolo Vitelli, al servizio del re di Francia Carlo VIII, che impossessatosi del castello di Vetranola (Monteleone) ordinò buon cibo, pena la morte per trascinamento con cavallo dei prigionieri. Fu così che dopo aver ricevuto degli “eccellentissimi penchi” con salsiccia, cacio e uova, il Vitelli restituì il castello e la libertà a tutti.
In Umbria la consistenza ruvida della pasta si sposa alla perfezione sia con condimenti robusti a base di carne (soprattutto salsiccia e pancetta di maiale), sia con quelli più leggeri fatti di verdure e pomodori, magari insaporiti da uno spicchio d’aglio. Non manca l’impiego generoso di formaggio pecorino e l’uso di legumi o tartufi. Invece i ragù alla selvaggina (lepre o cinghiale) accompagnano, come nella cucina Toscana, le “pappardelle” all’uovo. Altre paste all’uovo umbre sono: “frascarelli, passatelli, e quadrucci”, serviti soprattutto in brodo, e destinati nella tradizione alle donne che allattavano o agli ammalati.


Stringozzi al tartufo

C’è una leggenda che corre sull’origine di questo piatto, semplice ma allo stesso tempo raffinato. Sembra che sulla collina di Campello Alto (sopra le fonti del Clitunno), nel vicino castello di Pissignano, sia sostato Barbarossa prima di distruggere Spoleto. Probabilmente la cuoca del castello preparò al rosso imperatore degli strangozzi talmente buoni da convincerlo a cambiare la sua idea originale di distruggere l’Umbria.

Ricetta
Disporre della farina a fontana, aggiungere sale, poco olio e acqua tiepida. Impastare fino ad ottenere una panetto abbastanza consistente. Tirare la sfoglia un po’ più spessa delle fettuccine, e tagliarla a strisce larghe la punta di un’unghia. Preparare il condimento facendo dorare dell’aglio tritato nell’olio. Togliere l’aglio dal tegame, lasciar intiepidire il liquido, e aggiungere tartufo nero tritato con poco sale. Con questo intingolo condire la pasta una volta cotta.

sabato 19 novembre 2011

La Coda alla vaccinara


Coda alla vaccinara

La coda alla vaccinara è una ricetta della cucina tipica romana. Richiede parecchie ore per la preparazione, quindi se intendete servirla a pranzo calcolate bene i tempi oppure cucinatela il giorno prima.


Ingredienti:

2 kg. di coda di bue, tagliata a pezzi.
Per la bollitura 1 carotina, 1 porro, 1 costola di sedano, un poco di timo d 1/2 foglia di lauro
Per il trito 125 g di prosciutto grasso e magro, 1 cipollina e qualche fogliolina di maggiorana
2 cucchiai scarsi d'olio
2 dl di vino bianco secco
1 kg di polpa di pomodoro passata al setaccio
1,5 kg di cuori di sedano
1 cucchiaio di pinoli
2 cucchiai di uvetta sultanina ben pulita e lavata
un pizzico di cannella
un pizzico di noce moscata
sale grosso da cucina, sale fino e pepe.

Preparazione:

Fare spurgare la coda di bue, tagliata a pezzetti ne troppo picoli ne troppo grossi, per 4 ore in acqua abbondante e fredda (se volete accorciare i tempi fatela spurgare sotto acqua corrente almeno per un paio d'ore). Mettere i pezzetti di coda di bue spurgati in una casseruola con abbondante acqua fredda e portare ad ebollizione. Sbollentare la carne per una decina di minuti, sgocciolarla e asciugarla con un panno pulito. Mettere i tronchetti di coda in un'altra casseruola con abbondante acqua fredda
salata, (per 3 litri di acqua aggiungere 20 g di sale grosso da cucina). Far prendere l'ebollizione e schiumare ripetutamente con cura, quindi aggiungere le verdure aromatiche e continuare la cottura a calore moderato per 3 ore.
Trascorse le tre ore di cottura, mettere in una casseruola il trito e l'olio e, appena imbiondisce,
aggiungervi i tronchetti di coda, sgocciolati e bene asciutti. Mescolare, far insaporire le carni, bagnare col vino e farlo evaporare. Mescolarvi il pomodoro, condire con sale, pepe e il pizzico di noce
moscata e continuare la cottura per circa un'ora sino al momento in cui la carne si stacca dalle ossa. Importante durante la cottura allungare la salsa, se restringe troppo, col brodo di cottura della coda.
Nel frattempo lessare in acqua bollente leggermente salata i cuori di sedano, che sono stati puliti con cura e lavati; sgocciolarli e, circa 10 minuti prima di ritirare la coda dal fuoco per servirla,
mescolarveli aggiungendo il pizzico di cannella. Fuori dal fuoco completare con pinoli e con l'uva sultanina leggermente ammollata in precedenza.
Versare con molta cura la preparazione cosi' ottenuta in un piatto concavo ben caldo e  servire subito.

 LA CODA ALLA VACCINARA

Ner Rione Regola, tra li vaccinari
ner core antico dela Roma ricca
'n mezzo a li palazzi centenari
è nata 'na ricetta ch'è 'na "chicca".

La coda fin dai tempi... era la cosa
che distingueva 'a bestia dar cristiano
doppo avella assaggiata, 'a sora sposa,
capì che er bono... nun è solo umano!

Se prima è stato 'n piatto popolano
riservato a' classe macellaria
da quarche tempo, sembrerà 'n po' strano...
è 'r fiore all'occhiello dela culinaria!

-Pija 'n par de chili de coda de vitella
metti l'ojo ner coccio dela nonna
si nun ce l'hai... vabbene 'na padella
fai colori' mezza cipolla bionna

butta la coda quanno s'è appassita
rosola tutto a foco moderato
sfuma cor vino (abbasteno du' dita)
er sellero lo metti sminuzzato

er pommidoro... mejo la passata
sale, peperoncino (in abbondanza)
fai coce fino a quanno è spappolata...
...è na ricetta pe' riempi' la panza!

Poesia di Sabrina Balbinetti

giovedì 10 novembre 2011

W I Passatelli

 
I passatelli sono un piatto semplice negli ingredienti , ma proprio per questo richiedono una grande abilità dell' arzdora ( L’Azdora o Arzdora era una vera colonna portante della famiglia e, non a caso, sfogliando il dizionario di dialetto romagnolo scopriamo che in italiano Azdora significa: Reggitrice, massaia, colei che presiede al governo della casa. La parola “reggitrice” richiama proprio questa funzione di sostegno.) affinché l'impasto sia della giusta consistenza per poi poterne ricavare, attraverso l'apposito strumento con disco forato a manici laterali chiamato "e fér", il ferro,  piccoli cilindretti da cuocere in brodo.  L'elemento caratterizzante per fare i passatelli è costituito appunto dal "e fer", strumento di ferro simile allo schiacciapatate, di forma concava , con fori, dotato di due manici laterali per schiacciare con forza sull'impasto fino a farlo fuoriuscire dai fori con la tipica forma. Si chiamano passatelli proprio perché prendono la forma particolare passando dai buchi dello specifico strumento, chiamato anche stampo. In passato i passatelli erano la minestra delle feste e delle grandi occasioni come la  Pasqua, l' Ascensione, i battesimi, le cresime ed i matrimoni; a Natale invece venivano sostituiti dai cappelletti in brodo.
I passatelli erano considerati un piatto pregiato in quanto venivano fatti con pane bianco; la ricetta prevedeva che pangrattato e parmigiano venissero utilizzati in egual misura, ma nelle case dei ricchi prevaleva il parmigiano mentre, nelle case dei poveri prevaleva il pane.
Per ottenere un buon passatello bisogna usare pane comune bianco, ben secco e grattuggiato finemente. Per rendere l'impasto più morbido può essere utilizzato midollo di bue tritato ( alcuni usano come varianti semolino o una manciata di farina). Gli ingredienti vanno amalgamati con cura, fino ad ottenere un impasto compatto e di buona consistenza affinché, premendo il composto con "e fer", si riesca a farlo fuoriuscire dai fori  dando luogo alla tipica minestra  di forma cilindrica con diametro di circa 4-5 millimetri e lunghezza 8-10 centimetri,
di colore giallognolo ed aspetto rugoso.

Ricetta tradizionale dei passatelli

Ingredienti:

70 grammi di pane gratuggiato
1 Uovo
30 grammi di Parmigiano gratuggiato
noce moscata a piacere
Scorza di limone gratuggiata a piacere
Brodo di carne

Preparazione:

Impastare assieme tutti gli ingredienti prestando attenzione  alla consistenza dell' impasto che dev'essere compatto e quindi né troppo morbido nè troppo duro; utilizzando il ferro tradizionale per passatelli  l' impasto dovrà essere un po più morbido, usando invece il pressa patate dovrà essere un po più duro. L' impasto deve essere preparato con largo anticipo,  non meno di due ore prima: solo il tempo e ripetute re-impastate permettono infatti  l'intimo legame dei componenti e la preparazione di  un composto che dia vita a passatelli rugosi e abbastanza consistenti da non disintegrarsi nel brodo. Sia che venga utilizzato il ferro tradizionale sia che venga usato il pressa patate, bisogna premere con forza  in modo da creare tanti lunghi cilindretti di circa 5 millimetri di diametro ed 8-10 centimetri di lunghezza. Questa operazione va fatta sulla pentola in cui il brodo di carne, precedentemente preparato, sta bollendo, in modo che la pasta vi cada dentro direttamente. Il bollore del brodo deve però essere leggero  per non romperli. Quando il brodo bolle ed i passatelli affiorano,  togliere la pentola dal fuoco, mettere nei piatti  e  servire i passatelli immediatamente.





mercoledì 2 novembre 2011

Consigli dai birrifici


Con questa musica , la birreria artigianale Turan , consiglia , la birra Sonica, una Ale dorata ad alta  fermentazione , con gradazione alcolica di 4,9 ed una temperatura di servizio di 8/10.